Quando per la prima volta, nel 2017, mi sono avvicinata al mondo della moda sostenibile, sono stata sopraffatta da un senso di disorientamento. Ero appena venuta a conoscenza delle orribili condizioni dei lavoratori nelle fabbriche tessili del fast fashion, dello spreco di risorse e dell’impatto sul riscaldamento globale dell’industria della moda. La mia prima reazione è stata “basta, non compro più niente, non mi serve niente” e per un po’ (poco) questo approccio ha funzionato. Dopo pochi mesi mi sono però resa conto della necessità di acquistare vestiti di tanto in tanto e lì è iniziata la mia ricerca per trovare più brand di moda sostenibile possibile.
Di fatto, questa è la storia della nascita del Vestito Verde: dalla mia ricerca è nata poi l’idea di unire in un unico spazio persone che come me erano intenzionate a fare la differenza… e il resto è storia 🙂 (se ti interessa la storia completa, ne parlo nel mio Ted – sii clemente, era la prima volta che parlavo in pubblico).
Indice
Due doverose premesse
Prima di iniziare con i consigli, credo sia importante acquisire piena consapevolezza di due aspetti:
Limiti di costi
Molti brand di moda sostenibile sono molto, molto piccoli, pertanto non è sempre fattibile per loro svolgere LCA (secondo un’analisi internazionale condotta dal National Institute for Environmental Studies del Giappone, il costo mediano per un’LCA è $15.000). Per chi non lo sapesse, l’analisi LCA è un’analisi che si svolge per comprendere l’impatto di CO2 equivalenti generato da un prodotto. Questa analisi è molto utile, perché ci permette di quantificare l’impatto in maniera più oggettiva (osservazione controversa: l’LCA non è mai oggettiva al 100%. Ho sentito di brand che hanno svolto tre analisi LCA sullo stesso prodotto e tutte e tre mostravano risultati diversi l’una dall’altra). Dato che l’impatto ambientale di certi brand non è misurabile tramite LCA, non abbiamo la certezza matematica che siano più sostenibili rispetto ad altri brand.
Tuttavia, sappiamo che, per esempio, il recupero di abiti usati è una pratica intrinsecamente a basso impatto se comparata alla produzione di un nuovo abito (EURIC, 2023). Inoltre, credo sia importante tenere a mente che certe pratiche (come l’impiego e la valorizzazione di persone in situazioni di fragilità o la preservazione del know-how e dell’artigianato locale) non sono neanche così semplici da quantificare. Pertanto, nonostante io ritenga che i numeri siano importantissimi, credo sia altrettanto giusto capire i loro limiti.
Nessun brand è al 100% sostenibile
Per quanto riguarda l’abbigliamento, le azioni più sostenibili che puoi adottare sono:
- Prenderti cura di ciò che già possiedi e farlo durare il più a lungo possibile riparandolo e lavandolo in maniera delicata e secondo le istruzioni dell’etichetta.
- Trovare nuovi abbinamenti tra i vestiti che già possiedi, per massimizzare il numero di outfit disponibili e ridurre così l’esigenza di acquistare nuovi vestiti
- Acquistare, quando possibile, di seconda mano. Se non ami l’idea di Vinted e altre app di second-hand, puoi dare un’occhiata alla nostra mappa italiana della moda sostenibile, che raccoglie migliaia di negozi sull’intero territorio nazionale.
Quando però queste azioni non bastano ed è necessario acquistare qualcosa da un brand di moda sostenibile, potrebbe esserti utile questa breve guida pratica dove raccogliamo 5 consigli per riconoscere un brand responsabile.
5 consigli per riconoscere un brand responsabile
Torniamo al cuore della guida: come faccio a riconoscere un brand responsabile? Come faccio a capire se sta, invece, facendo greenwashing?
1. Un brand responsabile ti fornirà sufficienti dati per valutarlo
Fai una prova: vai sul sito web di uno dei tuoi brand del cuore e cerca la sezione dedicata alla sostenibilità. Se non esiste, ci sono buone probabilità che quel brand non sia interessato ad intraprendere una conversione verso maggiore sostenibilità. Tuttavia, se esiste uno spazio dedicato alla sostenibilità, non è detto che quel brand sia davvero sostenibile.
Se qualche anno fa la sostenibilità era considerata una nicchia, oggi ne parlano (per fortuna) tutti: questo però rende il processo di identificazione dei brand sostenibili più complesso, perché i brand stanno diventando sempre più abili nel raccontarsi sostenibili senza intraprendere azioni concrete (=greenwashing).
Di seguito qualche esempio di greenwashing per orientarvi tra i claim e le iniziative dei brand:
- Definire una linea di abbigliamento sostenibile perché i capi contengono fibre riciclate, senza però indicare né in che percentuale, né informazioni sulla manodopera
- Donare a enti benefici / piantare alberi senza modificare in alcun modo il proprio core business (ovvero la produzione di abbigliamento).
- Fornire un servizio di “take back”, ovvero raccogliere gli abiti usati, regalando in cambio della donazione un codice sconto. Questa pratica incentiva l’acquisto “perché tanto ho il buono sconto” e spesso non fornisce informazioni chiare su come e dove verranno “riciclati” i vestiti raccolti.
- Utilizzare espressioni come “per noi è importante”, “ci impegniamo a…” seguito da un claim generico su quanto siano belli ambiente e persone
2. Un brand responsabile utilizza materiali a minor impatto ambientale, di recupero o riciclati
Qualche esempio? Tessuti certificati GOTSGlobal Organic Textile Standard Leggi per il biologico, GRS per il riciclato, di recupero o deadstock. Sono tutte buone alternative ai materiali tradizionali, ma la lista di materiali a minor impatto ambientale è davvero, davvero lunga. Vi interesserebbe una guida completamente dedicata all’argomento? Se sì, scrivi un commento a fine articolo.
3. Un brand responsabile è trasparente sulla manodopera
Sul sito web della piattaforma si trovano informazioni relative agli stabilimenti in cui producono? Se sì, sono presenti certificazioni che garantiscono un salario equo e condizioni dignitose?
4. Un brand responsabile ha un business model “slow”
Non c’è scusa che campi: se produci 50 collezioni all’anno, non puoi essere sostenibile. Punto e basta. Se l’intero business model è fondato sull’idea che tu debba seguire un nuovo trend ogni settimana, non stai incentivando un modo di acquistare responsabile.
5. Un brand responsabile ammette di non essere alla fine del proprio percorso di sostenibilità
Il brand dichiara di essere 100% sostenibile? Qui gatta ci cova. La filiera tessile è lunga e complessa e c’è sempre qualcosa che può essere migliorato. Diffidate da chi si dichiara “arrivato” alla fine di un percorso di sostenibilità.
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Spero che questi 5 consigli per riconoscere un brand responsabile ti siano stati utili!
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