Per dare una mano al pianeta basta una second hand, la tua!

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Per dare una mano al pianeta basta una second hand, la tua!

Per dare una mano al pianeta basta una second hand, la tua! Se sei anche tu come me un’amante dello shopping a cui non dispiace passare il sabato pomeriggio tra le grucce sparse in giro dei negozi e i selfie nei camerini con le luci top, insomma un po’ ✨material girl✨, questo articolo potrebbe interessarti.

Se al contrario ritieni che quanto detto non ti descriva, ti consiglio ugualmente di proseguire la lettura: leggendo l’articolo  scoprirai diversi aspetti del mondo della moda contemporaneo che forse non conosci. In più diciamolo, che tu sia appassionatə o meno di moda, sicuramente in questo istante indossi qualche indumento. Possiamo di conseguenza dire che il tema riguarda un po’ tuttə noi!

Osserveremo il settore fashion andando a indagare la nostra attrazione inconscia ai brand low cost e perché dei prezzi così apparentemente friendly per i nostri portafogli, nascondono un lato poco eco-friendly per il nostro pianeta.

Non ti preoccupare, l’intento di questo articolo non è quello di suggerire di indossare gli stessi vestiti che si hanno già nell’armadio senza più comprare nulla (stile personaggi dei cartoni animati), ma di scoprire le valide alternative allo shopping fast fashion.

Okay – allacciamo le cinture – let’s gooo!

 

Un Fast Fashion troppo fast

Partiamo con il botto parlando del modello del fast fashion, tirando ad alcuni brand non solo una frecciatina, ma l’intero arco 🏹. In tal modo avremo subito qualche esempio per capire bene in primis come funziona.

Negli ultimi anni, in particolare con la pandemia e il boom dello shopping online dovuto al lockdown, è esploso il fenomeno SHIEN. È poco probabile che, se si è interessati di moda e shopping, non vi sia apparso almeno una volta questo nome.

Per i pochi che non la conoscono, si tratta di una delle prime app di shopping nell’Apple App Store Italia con Amazon, Vinted, Zalando e Zara, posizionandosi al top della categoria anche nell’Apple App Store Usa.

Tornando alla numero uno del momento, i prodotti venduti da SHIEN sono super low cost e non sono tanti, ma tantissimi: un range dai 500 ai 2000 nuovi capi al giorno. Dai costumi alle scarpe, dalle tute sportive agli abiti da sposa, un’infinità di scelta ad un prezzo bassissimo: il paese dei balocchi insomma.

Come spiegato da @behindthebrands nel TikTok SHIEN’s genius marketing strategy, la mossa vincente del brand è stata mostrare i propri capi indossati da persone reali.

Usando il potere dei social media, in particolare TikTok, hanno spopolato regalando capi a micro/medio influencers che, tramite video haul che diventavano virali, portavano le clienti stesse a fare altrettanti video haul che incuriosivano a loro volta altre clienti e così via fino ai nostri per te. Ha funzionato alla grande, considerando che l’hashtag #shien al momento ha 4 milioni di post e 50 miliardi di views (febbraio 2023).

Io per prima sono stata “vittima” di questo sito tanto appetibile🤡,  ho nel mio armadio dei loro capi che indosso nel mio quotidiano perché, diciamocelo, sono alla moda, costano poco e ogni volta che si apre il sito ci sono sempre nuove cosine carine… meglio di così!

Ma cosa si nasconde dietro al velo oscuro del fast fashion? Un settore che corre così veloce, con migliaia di nuovi capi ogni volta che apriamo il sito, nasconde delle scomode verità che nel prossimo paragrafo verranno svelate.

Scheletri nell’armadio

“Ma qual è il vero prezzo da pagare?”

Ce lo spiega il documentario The True Cost, che va proprio a indagare come sia possibile che certi capi costino così poco. La risposta è che qualcun altro paga per noi: la terra che viene inquinata e le persone che lavorano a chilometri e chilometri da noi per produrre ciò che indossiamo.

Non solo SHIEN, anche Zara, H&M, Primark… sono tutte aziende con gli stessi meccanismi che ci permettono di pagare poco per avere tanta scelta e capi in tempi brevissimi. Fast fashion significa appunto moda veloce e fin qui anche con il livello di inglese “the pen is on the table” ci arriviamo. Forse però, quello che non tutti percepiscono è quanto effettivamente veloce sia.

Ce lo spiegano Camilla Mendino (@carotilla_), green influencer, e Francesca Michielin nel documentario di Sky Nature intitolato Effetto Terra – Guida pratica per terrestri consapevoli.

Le case di alta moda fanno uscire una collezione per stagione: la primavera-estate e l’autunno-inverno mentre

“[Fanno parte del fast fashion] tutte quelle catene che producono una collezione alla settimana, quindi 52 collezioni all’anno, che riprendono i disegni dell’alta moda e sono in continua produzione.”

Si tratta dunque di una continua produzione che ci porta ad entrare nei loro negozi e trovare sempre qualcosa di nuovo. E la novità piace, ci attira e ci incuriosisce. 

Questi sono gli scheletri nell’armadio del fast fashion: uno sfruttamento dell’ambiente e di persone. Quello che noi non paghiamo al momento dell’acquisto viene pagato tramite l’impiego non etico dei lavoratori e l’inquinamento del nostro pianeta.

Spesso non ci si fa caso, ma sbirciando un’etichetta è spesso annotato il made in China, made in Bangladesh ecc. Vengono indicati paesi distanti non solo fisicamente ma anche lontani dalle nostre menti.  Diventa quindi difficile concepire come le nostre scarpe siano state prodotte da delle persone sottopagate che lavorano in condizioni pietose dall’altra parte del pianeta. Sono lontane da noi eppure da qui anche noi comprando certi prodotti influenziamo la loro vita, spronando con i nostri acquisti un ciclo infinito.

Fonte: Mandala Fashion

Per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse della terra, lo sapevate che per produrre una maglietta di cotone ci vogliono ben 2.700 litri di acqua. Tanti eh, ma a concretamente di quanti litri si tratta?

Come spiega il  video di National Geographic How Your T-Shirt Can Make a Difference (2013): la cifra equivale alla quantità in grado di soddisfare il fabbisogno di un essere umano per 900 giorni.

Francesca Boni, founder de Il Vestito Verde, nel TedX Scegliere la moda sostenibile spiega come il fast fashion sia problematico in tutte le fasi della sua filiera per via:

  • dei pesticidi nella produzione di cotone che causano morte e tumori,
  • delle emissioni di CO2,
  • dell’inquinamento idrico,
  • delle micro plastiche presenti nei materiali sintetici come nylon e poliestere che non riescono ad essere filtrati dalle lavatrici e finiscono in mare.

Per non parlare di tutti gli scarti di produzione e tutti i vestiti che vengono buttati… secondo La Repubblica infatti:

“Ogni secondo l’equivalente di un camion carico di vestiti viene bruciato o portato in discarica.”

Perché sono belli i prezzi stracciati, ma un po’ meno carini gli stracci in cui si trasformano dopo qualche utilizzo. Il problema è che una produzione così fast e poco curata porta a degli abiti con tessuti di bassa qualità fatti per non durare. Questo non fa altro che aumentare il circolo vizioso in cui rovinato qualcosa non si esita a sostituirlo con un capo nuovo di zecca.

Fonte: Meteored Italia

Ci sono sempre più brand attenti alla loro impronta sul pianeta e che curano la produzione dei loro capi in modo tale da essere il più sostenibili possibili. Ben venga l’acquisto consapevole in questi negozi, ma non tutti abbiamo i soldi per poterci permettere solo t-shirt eco-sostenibili, soprattutto quando siamo abituati a pensare che con quei soldi si riescono ad acquistare così tante cose da farci un video haul di un’ora. Ed è qui proprio qui che entra in gioco l’usato.

 

Il nuovo trend del second hand, per dare una mano al pianeta

Il momento in cui ho realizzato che i capi di seconda mano stavano iniziando a farsi spazio nelle vite di sempre più persone è stato in un viaggio ad Amsterdam nei Paesi Bassi durante il mio Erasmus. Mi trovavo a passeggiare tra le bancarelle del mercato e tra il profumo di girasoli, tulipani e stroopwafel, vi erano anche numerose bancarelle dell’usato.

Ne rimasi molto sorpresa. Non che io non ne avessi mai vista una, di mercatini delle pulci nel mio paese ne ho visti molti, arredati con cappotti ammuffiti, scarpe rovinate e t-shirt con le stampe sbiadite dal tempo e dai mille giri in lavatrice. Lo stereotipo dell’usato insomma!

Diciamo che non ne ero mai stata attratta e lì rimasi quasi stupita nel vedere capi effettivamente di mio gusto. Ho comprato sia una maglia in una bancarella e una felpa in un negozio dove pagavi i capi in base al loro peso: è passato qualche anno e sono ancora due must del mio guardaroba.

Mi sono poi resa conto che anche in Italia, sempre di più, le bancarelle dei mercati attirano l’attenzione dei giovanissimi. Sarà che sta tornando la y2k aesthetic quindi i crop top con stampe particolari e le minigonne anni 2000 sono sempre più ricercate, sarà che in questo periodo sta nascendo sempre più curiosità a riguardo da parte della genZ.

Senza dimenticarci i social… Se il fenomeno dei video di fast fashion ha influenzato i nostri desideri di acquistare altrettanti capi, ad oggi sempre più giovani documentano i loro acquisti ai mercatini. Non solo, ad oggi le occasioni per comprare abiti precedentemente amati da altre persone si stanno moltiplicando.

Ecco qui sotto degli esempi.

Shop preloved: dove innamorarsi

Un brand che sta spopolando è Three Vintage. Se segui personaggi come Chiara Ferragni o Alessia Lanza non possono esservi sfuggiti i loro set. Il brand trasforma polo e camicie usate in completini originali semplicemente tagliandoli e ricucendoli con nuove forme. Si tratta dunque di pezzi unici, che vanno sold out in pochissimo tempo per essere amati una seconda volta.

Usando la tecnica spiegata in precedenza, gli abiti vengono mostrati su persone vere, che attirano più facilmente l’attenzione e la curiosità di chi li guarda. Se poi queste persone sono delle influencers, la visibilità del brand non solo aumenta, ma alimenta soprattutto quello che è il trend del second hand, che diventa più appetibile a chi magari finora non lo riteneva abbastanza cool.

Altro brand è Vinokilo, che organizza dei veri e propri eventi con musica e divertimento in cui  fai shopping pagando i pezzi a peso. Anche in questo caso, sempre più giovani sono intrigati non solo dall’avere nell’armadio capi unici trovati agli eventi, ma anche dal vivere una vera e propria esperienza in compagnia!

Ricordiamoci però che non c’è bisogno di brand rinomati, ci sono le bancarelle dei mercatini delle pulci! Si sa che il nome non è poi così invitante, eppure sempre più persone ci fanno un salto e oramai direi che il mito dell’usato come vecchio e sporco lo abbiamo sfatato. Spulciando qua infatti e là è possibile trovare capi davvero top da portare a casa e amare!

Non sei ancora sicurə di dove trovare la location perfetta per il tuo prossimo pomeriggio di shopping second hand? Ecco la soluzione:

Loving it was Verde

Esiste un sito che ti aiuta a trovare il posto più vicino a te per fare i tuoi acquisti.

Usando le parole di Taylor Swift  (e il suo “loving him was red”), per me il colore che indica l’amare il pianeta è il green: verde come Il Vestito Verde.

Per rendere più facile lo shopping sostenibile, Francesca Boni ha infatti fondato Il Vestito Verde, la prima piattaforma italiana per scoprire negozi fisici ed e-commerce di moda sostenibile. 

Oltre alla presenza di un database di e-commerce di moda sostenibile ed etica, sul sito è possibile consultare una mappa che indica la posizione di eco-stores, boutique vintage, negozi dell’usato ecc. nel territorio italiano.

Ad oggi sono indicate circa 1700 attività in tutta Italia: ora non hai più scuse, inizia anche tu a dare una mano al pianeta con il second hand!

Trova la location più vicino a te e… trova un “nuovo” capo “usato” da amare:

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Laura Manigrasso

Sono Laura, laureata in comunicazione, media e pubblicità, al momento studio Digital Marketing.

Amo leggere, l’hand lettering, le emoji a forma di fiorellini, la vaniglia, la natura e viaggiare.

Ammetto di indossare di rado il verde, prediligo capi neutri, ma eccomi qui con Il Vestito Verde… un tocco di colore alla mia palette

 

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