Nell’ultimo decennio, l’industria della moda ha subito un cambiamento significativo nei confronti della sostenibilità. Sebbene molti brand si siano impegnati nell’adozione di pratiche più eco-compatibili, c’è un lato oscuro dietro a questo fenomeno: il greenwashing.
In questo articolo analizziamo il fenomeno del greenwashing, per scoprire insieme cos’è, come riconoscerlo e come non cadere nelle trappole dei brand del fast fashion.
“Il greenwashing (neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata) indica la strategia di comunicazione di certe imprese finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente delle loro attività o prodotti.” Wikipedia
Indice
L’ascesa del greenwashing nella moda
Il greenwashing è diventato un problema molto diffuso nell’industria della moda, in quanto i grandi marchi del fast fashion cercano di capitalizzare la crescente domanda di prodotti sostenibili riducendo sempre più l’attenzione nei confronti della sostenibilità.
Utilizzando un linguaggio vago, certificazioni ambigue e tattiche di marketing fuorvianti, alcuni marchi creano l’illusione della sostenibilità senza apportare modifiche effettive e sostanziali alle loro pratiche commerciali. Questa strategia ingannevole non solo trae in inganno tutti noi consumatori, ma mina anche gli sforzi dei brand che quotidianamente si impegnano ad essere più sostenibili.
3 tattiche di greenwashing comuni
Noi consumatori in primis dobbiamo essere vigili quando navighiamo nel mondo dell’eco-fashion per evitare di cadere nella trappola del greenwashing.
Ecco 3 tattiche comuni di greenwashing a cui prestare attenzione:
- Termini come “ecologico” e “sostenibile” sono utilizzati senza definizioni chiare o criteri misurabili.
- Certificazioni false: I marchi esibiscono certificazioni false o irrilevanti per dare l’impressione di essere brand sostenibili.
- Pubblicità ingannevole: Foto di paesaggi lussureggianti e dichiarazioni di materiali “naturali al 100%” possono essere fuorvianti se non supportate da prove concrete
I grandi brand non superano il test di sostenibilità
Importanti brand italiani come Benetton e Calzedonia/Intimissimi non hanno ottenuto buoni risultati in termini di sostenibilità. Secondo Greenpeace infatti, il primo “deve fornire molte più informazioni per riuscire realmente a ‘produrre meno e meglio’, oltre a dover rivedere la propria definizione di ‘cotone sostenibile”.
Calzedonia invece “deve passare dalle parole ai fatti” rendendo veritiere le dichiarazioni sulla tracciabilità delle filiere e adottare un sistema che permetta di gestire le sostanze chimiche pericolose.
Solo le iniziative di COOP “Naturaline” e Vaude “Green Shape” hanno superato, anche se solo in parte, i test di Greenpeace Germania e ottenuto risultati accettabili, al contrario di tutte le aziende poste sotto esame.
Greenpeace infatti afferma: “I marchi si vendono quindi per quello che non sono, ed evitano di pubblicare informazioni che permettano di valutare l’effettivo impatto ambientale. Ciò genera confusione nelle persone, spinte a credere di acquistare prodotti sostenibili ma che in realtà non lo sono”.
Greenwashing: che cos’è e come riconoscerlo
L’analisi di Greenpeace ha identificato alcune caratteristiche comuni in molte delle etichette dei brand poste sotto esame:
- si confondono i consumatori con etichette che all’apparenza risultano come certificate ma che in realtà derivano da programmi di sostenibilità aziendali
- il ricorrere a termini fuorvianti come “sostenibile” o “responsabile” associato ai “materiali” che, in realtà, registrano performance ambientali di poco migliori rispetto alle fibre convenzionali
- l’assenza di tracciabilità delle filiere
- l’assenza di riferimenti alla necessità di allontanarsi dall’attuale modello di business
- l’assenza di verifica di terze parti o di valutazioni del rispetto dei migliori standard ambientali e sociali
- il miglioramento di un singolo aspetto/parametro della produzione (ad esempio riduzione del consumo di acqua o il riutilizzo/riciclo dei rifiuti pre-consumo)
- la scelta di affidarsi all’indice Higg per valutare la sostenibilità dei materiali, uno strumento la cui parzialità è ben nota
- il ricorso a mix di fibre come il “Polycotton o Policotone” – tessuto misto poliestere/cotone – spesso mostrato come più ecologico.
L’importanza di rendere i consumatori consapevoli
Per combattere il greenwashing, noi consumatori svolgiamo un ruolo cruciale.
Siamo noi a dover pretendere più trasparenza da parte dei brand dai quali acquistiamo e dobbiamo ritenere i marchi responsabili se non rispettano le linee guida sulla sostenibilità.
Informandoci sulle pratiche sostenibili, sulle certificazioni e sull’etica della catena di fornitura, noi utenti possiamo sostenere i marchi che realmente danno la priorità alla sostenibilità e all’eco-fashion e ridurre l’acquisto di capi ed accessori di brand famosi ma non sostenibili.
Smascherando e affrontando le pratiche di greenwashing, possiamo metterci nelle condizioni di fare scelte più consapevoli ed informate e di sostenere i brand che realmente si impegnano per una moda sostenibile. Insieme, possiamo aprire la strada a un settore più sostenibile ed etico per salvaguardare l’ambiente.
Come evitare di essere vittime del greenwashing?
Ritengo che questi consigli possano essere d’aiuto e per approfondire le conoscenze sul greenwashing suggerisco la lettura del report completo di Greenpeace.
Anche la Commissione Europea ha presentato a fine marzo una proposta di direttiva green claims per esaminare il greenwashing e dare garanzie ai consumatori. In particolare, le dichiarazioni “sostenibili, verdi, eco” dovranno essere verificate in modo indipendente e dimostrate con prove scientifiche.
Questa direttiva riguarderà soprattutto il settore della moda, in quanto non è più un segreto per nessuno che l’industria del fashion sia tra le più inquinanti al mondo. Si stima che sia responsabile del 10% delle emissioni di gas serra prodotte ogni anno a livello globale.
In più, consiglio di consultare queste piattaforme, fruibili gratuitamente, per essere sempre aggiornati riguardo la moda sostenibile.
1) La prima è la piattaforma greenwash.com di Changing Markets Foundation dove puoi consultare la veridicità delle dichiarazioni dei principali brand del settore moda oltre che di altre categorie.
2) La seconda è la piattaforma e l’app di Good on You dove molti consumatori già da tempo consultano all’istante il punteggio di sostenibilità a 360° (ambientale e sociale), di centinaia di marchi di moda.
«ll fast fashion non può essere definito sostenibile. Le aziende hanno il dovere di allontanarsi da modelli di business basati su un’economia lineare e promuovere una vera economia circolare che riduca gli impatti sociali e ambientali. Allungare il ciclo di vita dei vestiti deve essere la priorità del settore, solo così eviteremo una moda basata sul greenwashing»
Giuseppe Ungherese, Greenpeace
Non hai più scuse!
Spero che questo articolo possa essere di aiuto a tutte le persone ad essere più consapevoli e responsabili così da prediligere brand sostenibili rispetto a grandi brand, che solo in modo fittizio, fanno credere ai loro consumatori di promuovere la moda sostenibile.
Per restare sempre aggiornato su tematiche riguardanti la moda sostenibile e le ultime novità a tema eco-fashion entra a far parte della community del Vestito Verde.
Prendi parte anche tu al cambiamento che vorresti vedere nel mondo, ogni piccolo gesto è importante.
Vuoi saperne di più? Ti consigliamo il nostro articolo: Come riconoscere un brand responsabile: una guida pratica
Come riconoscere un brand responsabile: una guida pratica
Autrice: Valeria Manella
Ciao, sono Valeria!
Sto studiando per diventare un’esperta di ecommerce e social media nel settore fashion, con un occhio di riguardo alla sostenibilità.
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