Mi hanno regalato abbigliamento fast fashion: ed ora che faccio?
“A caval donato non si guarda in bocca”. Eppure, quando scartando i regali di Natale la notte della vigilia mi sono ritrovata davanti ad un pigiama di un brand fast fashion, ho dovuto fingere un sorriso. Ho ringraziato; un pigiama mi serviva – è vero – ma ne avevo già adocchiati alcuni e avrei di gran lunga preferito supportare un brand sostenibile invece dell’ennesima catena di abbigliamento. Mi sono chiesta: dove ho sbagliato? Com’è possibile che qualcuno di così vicino a me abbia deciso di regalarmi un capo fast fashion, proprio a me che da anni ormai dedico il mio lavoro e gran parte della mia vita alla moda sostenibile? Cosa è andato storto? E soprattutto: ed ora di questo pigiama che ne faccio?
Cos’è il fast fashion?
Facciamo un passo indietro: cos’è il fast fashion e come riconoscerlo?
Il fast fashion può essere definito come abbigliamento a basso costo, “alla moda” nel senso che prende spunto dalle passerelle dei grandi marchi o dai trend lanciati da vip ed influencer e ne riproduce lo stile in tutta velocità, così da riuscire a cavalcare l’onda di quei trend proprio nel momento in cui prendono piede. L’idea alla base di questo modello di business sta nel lanciare sul mercato dei prodotti che siano appunto percepiti come “alla moda” (benché si tratti di una moda del momento, passeggera) e di farlo velocemente, in modo da poter poi passare altrettanto velocemente alla “moda” successiva.
I brand del fast fashion lanciano nuove collezioni e nuovi prodotti più volte nell’arco di una stagione, in alcuni casi anche ogni settimana; ricordiamo che i tempi della moda “classica” vedono una nuova collezione ogni stagione, cioè due volte all’anno (SS, primavera/estate e FW, autunno/inverno), quindi è chiaro che quella del fast fashion è una vera e propria esasperazione.
É chiaro anche che un modello di questo tipo non è sostenibile: primo, perché ci spinge a fare acquisti di impulso a discapito del nostro stile personale (“Questo taglio di pantalone va di moda, lo voglio!”) e secondo, perché produrre velocemente e a basso costo significa inevitabilmente dover ridurre la qualità dei materiali e gli stipendi di chi lavora alla produzione di quei capi.
Il fast fashion può essere sostenibile?
No. Il fast fashion non può mai essere sostenibile perché il modello su cui si basa è un modello insostenibile per sua stessa natura. Il fast fashion non è sostenibile neanche quando i brand che ne sono promotori etichettano nuove collezioni come “conscious” o “eco-friendly” solo perché utilizzano una percentuale di cotone o di plastica riciclata. Quello è greenwashing ed è un tentativo di farci credere che il fast fashion possa essere sostenibile, ma non è così.
Fonte: Project Stop Shop
Il pigiama che ho ricevuto in regalo per Natale aveva un’etichetta di cartoncino apparentemente riciclato con l’icona di un bocciolo di cotone ed era confezionato in una busta di carta “riciclata e riciclabile”. Di fronte a questo tipo di comunicazione da parte di un brand dobbiamo farci delle domande per essere in grado riconoscere il greenwashing: ok, c’è il simbolo del cotone, ma quanta % di cotone c’è in questo prodotto? E la rimanente % da cosa è composta? Il cotone utilizzato è organico e certificato oppure è stato trattato con agenti chimici che poi finiscono a contatto con la mia pelle? Questo brand lancia nuove collezioni a distanza di poche settimane? È possibile che un capo di abbigliamento costi così poco, considerando la materia prima necessaria, le ore di lavoro, la spedizione in Italia dal Paese in cui è stato prodotto, il margine di guadagno che il brand applica…?
Quindi, ora che si fa?
Già, ora che ci faccio con questo pigiama?
Me lo sono chiesto e mi sono subito risposta che lo indosserò finché non sarà tanto rovinato da non poterlo più mettere.
Resto convinta che la pratica più sostenibile (e semplice) che tutti possiamo adottare senza stravolgere le nostre vite sia sfruttare ciò che già abbiamo nell’armadio, indossare ciò che abbiamo il più possibile.
Questo pigiama ormai è mio, tanto vale trattarlo bene, indossarlo e lavarlo con cura in modo che possa durare anni. Nel mentre, mi impegnerò di più nel coinvolgere famiglia e amici perché si pongano qualche domanda davanti all’etichetta di un capo di abbigliamento, condividendo quel che so e quel che imparo ogni giorno sulla moda sostenibile ed in-sostenibile, così che il prossimo Natale riservi solo sorprese positive.
Denise Caggio
Sono Denise, lavoro nella (e per la) moda sostenibile.
Mi occupo di consulenza marketing per brand etici a livello internazionale, scrivo di moda sostenibile e ricopro il ruolo di account e sales manager per Good On You. @pillolegreen è il luogo dove condivido news ed idee, è il diario su cui appunto consigli pratici per vivere una vita più sostenibile: serve da spunto per chiunque legga e da memo per me medesima – perché non si finisce mai d’imparare.
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