Disuguaglianze di genere e sfruttamento delle lavoratrici tessili
Indice
Disuguaglianze di genere e sfruttamento tra le lavoratrici tessili: un’intro
Si parla molto spesso di tematiche come le disuguaglianze di genere, lo sfruttamento di operaie e operai, i diritti e le violenze commesse da chi detiene il potere. Ma cosa succede quando tutti questi fattori si intrecciano? E cosa hanno a che fare questi temi con le lavoratrici tessili?
Prima di proseguire, vorrei proporre una riflessione storica sul legame tra l’arte del tessere e il mondo femminile. Già nella mitologia antica di diverse popolazioni, l’ambito dei tessuti è sempre stato collegato alle donne. Il filo di Arianna ha permesso a Teseo di uscire dal labirinto, Penelope durante il giorno tesseva mentre la notte disfava la sua opera in attesa del marito Odisseo. La tessitrice Zhi Nu è la protagonista della storia che ha dato origine al “San Valentino cinese”. Quest’arte è sempre stata associata a un lavoro contemplativo e di cura, svolto principalmente dalle donne.
Partendo dall’analisi degli obiettivi 5 e 8 inseriti nell’Agenda 2030 dell’ONU , osserveremo il legame tra industria tessile e lavoro femminile, per concludere analizzando l’esempio dell’India e della Gran Bretagna.
Gli obiettivi dell’Agenda 2030
Nel 2015 l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha proposto un’Agenda di diciassette obiettivi “per lo Sviluppo Sostenibile”.
I 193 paesi firmatari si impegnano nel raggiungere alcune mete sociali, ambientali ed economiche. Bisogna tenere in conto degli importanti cambiamenti che sono avvenuti dal 2015 ad oggi: infatti, la crisi pandemica del 2020 ha rallentato il processo di realizzazione degli obiettivi. Questa non deve però essere una giustificazione alle importanti disuguaglianze economiche, sociali ed ambientali ancora presenti.
Analizziamo ora il numero 5 e il numero 8.
Obiettivo 5: parità di genere
L’obiettivo 5 si propone di raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze. Si vorrebbe cercare di eliminare ogni forma di discriminazione di genere, di violenza e di dominio, garantendo uguale accesso alle risorse economiche, alle opportunità di lavoro e parità negli stipendi.
Ma ci potremmo chiedere, a che punto siamo? Globalmente, secondo il Global Gender Gap Report (1) nel 2022 il divario di genere è al 68,1%, dato quasi per nulla in miglioramento rispetto al 67,9% del 2021. Si tengono in conto quattro variabili: partecipazione e opportunità economica, livello di istruzione, salute e sopravvivenza, empowerment politico.
Per quanto riguarda l’Europa, dal Rapporto ASvIS (2) del 2022, si nota un forte miglioramento dal 2010 al 2019, seguito da un netto rallentamento causato dalla crisi pandemica. Confrontando la situazione tra i diversi paesi, si osserva che in Italia nel 2020 il tasso di occupazione femminile è inferiore rispetto agli altri paesi UE (52,1 contro 66,1 dell’UE), ma allo stesso tempo vi è un minore divario salariale (4,2% contro 13,0% nell’UE). Infatti, il “Gender pay gap” in Europa ha un andamento in negativo, ovvero le donne sono pagate meno rispetto agli uomini che occupano la loro stessa posizione.
Il caso italiano
Guardando al caso italiano, l’obiettivo era in peggioramento dal 2019 al 2020, per poi risalire nell’anno successivo, senza però raggiungere i livelli del 2019. Il target 5.5 del Rapporto ASvIS (2) cita: “Entro il 2030 dimezzare il gap occupazionale di genere rispetto al 2020″. Purtroppo siamo piuttosto lontani dalla meta e anzi, nel breve periodo l’andamento è in negativo (il tasso di occupazione femminile nel 2020 è di -4,3 punti, contro il -1,5 per quella maschile). Nel 2021 si ha un leggero miglioramento, quasi a raggiungere i livelli prepandemici.
Obiettivo 8: lavoro dignitoso e crescita economica
L’obiettivo numero 8 auspica a un lavoro dignitoso e alla crescita economica (analizza quindi i dati relativi al reddito disponibile, al tasso di mortalità sul lavoro, il tasso di occupazione, le condizioni lavorative). Sempre secondo i dati raccolti dal Rapporto ASvIS (2), ci troviamo di fronte, a livello europeo, a un trend non positivo tra il 2010 e il 2013, seguito da un leggero miglioramento fino al 2019. Nel 2020 si ha nuovamente un’inversione di tendenza con conseguente riduzione del PIL e del tasso di occupazione.
Comparando l’Italia con gli altri paesi europei, si notano enormi criticità, che vedono la situazione attuale ben distante dall’obiettivo del 2030. C’è un basso tasso di occupazione e un’alta quota di di part-time involontario. Inoltre, manca una maggiore attenzione alle condizioni lavorative. L’obiettivo di un lavoro dignitoso per tutt* sul territorio nazionale è ancora molto lontano, e questo è dovuto all’elevato numero di incidenti e infortuni.
Disuguaglianze di genere e lavoro dignitoso
Le riflessioni sugli obiettivi devono essere lette insieme. Le donne generalmente vengono maggiormente discriminate e ritenute inferiori in diverse sfere sociali, e tra queste anche in quella lavorativa. Gli sforzi da compiere per raggiungere lo stesso livello di un uomo sono notevoli: dal 2009 la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro è in calo e queste hanno sempre degli stipendi più bassi (2). Ciò non dipende da una maggiore predisposizione degli uomini al lavoro o dal fatto che gli uomini siano più portati a certi mestieri piuttosto che altri. Questo dipende solamente dal sistema sociale che impone di adeguarsi a modelli prestabiliti. Inoltre, secondo la divisione culturale dei ruoli di genere, le donne svolgono in misura maggiore del lavoro non retribuito, in particolare quello domestico e di cura.
Cosa succede nell’industria tessile: qualche dato
Le lavoratrici nell’industria tessile
L’industria tessile è protagonista di azioni a forte impatto ambientale e sociale. Dobbiamo citare il fenomeno della delocalizzazione (3), che consiste nel trasferimento da parte delle multinazionali del processo produttivo nei paesi del Sud del Mondo. Ciò comporta un minor costo dei fattori produttivi, in particolare della manodopera.
Come si legge nell’analisi proposta da AWARE Think Tank (4), gli scambi internazionali favoriscono lo sviluppo economico dei paesi più poveri, in quanto sempre più persone sono coinvolte nel mercato del lavoro. D’altro canto, si diffondono problematiche di carattere sociale come lo sfruttamento di manodopera e le disuguaglianze di genere. Le persone si ritrovano a lavorare in condizioni precarie per molte ore con una retribuzione bassa (5).
Per quanto riguarda la questione di genere, sono oltre 35 milioni le donne coinvolte nel settore tessile (dato risalente al 2016 per l’Asia Pacifica) (4). A loro è solitamente riconosciuto un salario inferiore rispetto a quello dei colleghi maschi, incontrano maggiore difficoltà nell’avanzamento di carriera e devono svolgere anche il lavoro domestico e di cura dei figli.
Gli studi di Lopez-Acevedo e Robertson
Gli studiosi Lopez-Acevedo e Robertson (6) presentano il numero di lavoratori impiegati nel settore tessile in alcuni paesi. In Bangladesh (dati del 2009) sono 3.1 milioni e il 54% sono donne; in India parlano di 35 milioni (nel 2008), il 38% donne; in Sri-Lanka (nel 2009) troviamo 0.28 milioni di lavoratori, l’80% sono donne; infine, in Vietnam l’80% dei 2 milioni di lavoratori sono donne.
Gladys Lopez-Acevedo e Raymond Robertson mostrano che in India e in Bangladesh i lavoratori dell’industria tessile e dell’abbigliamento sono favoriti rispetto ad altri settori (come l’agricoltura), cosa che non accade in Pakistan e Vietnam. Tuttavia, in tutti i paesi studiati risulta che gli anni di istruzione delle donne lavoratrici nell’industria tessile sono sempre inferiori a quello dei colleghi uomini. Ad esempio, in Bangladesh nel 2009 si parla di una media di 5,35 anni per le donne contro i 6,45 per gli uomini; per quanto riguarda l’India, 5,8 anni per le donne contro i 6,2 per gli uomini). Il perché le donne studiano meno è riconducibile all’idea che, principalmente nei villaggi più poveri, loro dovranno occuparsi della casa e della famiglia.
Disuguaglianze di genere e salario
Un esempio per la retribuzione lo troviamo per il Bangladesh (dove ricordiamoci che nell’industria tessile il 54% sono donne). Il salario è di 5.300 taka al mese (€62), cifra lontana dagli 8.900 taka (€104) necessari per vivere. Indipendentemente dal genere, le ore lavorative vanno dalle 60 alle 140 alla settimana, senza pause e in condizioni precarie (7).
Riguardo al ruolo delle lavoratrici tessili, c’è chi afferma che guadagnare e allontanarsi dal villaggio di origine, sia un aspetto positivo. È visto come un primo passo verso la propria emancipazione dal momento che si passa dall’essere sotto lo stretto controllo familiare a una situazione di parziale indipendenza economica. D’altro canto però, siamo davvero sicur* che sia così? Non si tratta forse di un passaggio da una forma di dominazione e sfruttamento all’altro? È importante sottolineare che la maggior parte delle operaie lavora per multinazionali che impongono i ritmi e i tempi di consumo occidentali, legati a un capitalismo aggressivo e a una competizione sfrenata. E questo significa veramente rispettare la cultura locale e i diritti delle persone?
Alcuni esempi
Il caso dell’India
Lo Schema Sumangali (8) viene praticato nella regione del Tamil Nadu in India. Si tratta di una pratica che coinvolge principalmente giovani donne (alcune anche sotto i 16 anni e con un livello di istruzione molto basso). I parenti, a causa delle condizioni economiche e sociali sfavorevoli, mandano le donne a lavorare nelle industrie tessili, solitamente per tre anni, in modo da garantirsi la dote per un futuro matrimonio. Le giovani sono considerate più docili, più facili da “governare”, più adattabili e soprattutto non si ribellano. È più semplice sottometterle. Inoltre, è più frequente che occupino lavori di breve durata, dal momento che, una volta sposate, ritorneranno a eseguire il lavoro domestico, portando avanti la casa e la famiglia.
La maggior parte sono assunte senza un contratto scritto e regolare, lavorano fino a 12 ore al giorno (senza contare gli straordinari), sono pagate meno rispetto ai colleghi uomini e sono costrette a subire abusi verbali e/o sessuali (8). Il sistema sociale in cui sono inserite legittima questo tipo di scambio, e anche per le stesse ragazze è un modo per fuggire dalle condizioni sfavorevoli dei villaggi. Sicuramente uno dei problemi di base di questo meccanismo risiede nell’estrema povertà in cui vivono le famiglie, che porta le giovani donne a trovare delle soluzioni per uscirne. Tuttavia, vengono inserite in uno schema che le porta da un sistema di dominio familiare a uno industriale e capitalista. Servono soluzioni reciproche, basate sull’ascolto e la fiducia, con il fine di andare incontro anche alle necessità delle lavoratrici.
Il caso inglese: lo sfruttamento delle lavoratrici durante la pandemia (9)
L’industria tessile e della moda (9) in Gran Bretagna comprende circa 500.000 lavoratori e lavoratrici e il settore contribuisce con quasi 20 miliardi di sterline all’economia del Paese. Secondo un’indagine (10), durante la pandemia, si è osservato tra le lavoratrici tessili (tra i 20 e i 64 anni) il più alto tasso di mortalità. Infatti, si contano circa 65 decessi tra le operaie ogni 100.000, contro il valore complessivo di tutte le donne del paese che è di 17 ogni 100.000.
Ma perché? Secondo l’LBL (Labour Behind the Label) (11), questi dati sono da contestualizzare nella situazione lavorativa in Gran Bretagna. Già in precedenza era emerso che le fabbriche di abbigliamento a Leicester, molte fornitrici per il marchio Boohoo, erano rimaste aperte nel periodo pandemico. Il personale lamentava l’assenza di misure di sicurezza adeguate. Estrema vicinanza, mancanza di igienizzante per le mani e servizi igienici sporchi, obbligo di lavoro notturno per sfuggire ai controlli: queste sono solo alcune delle condizioni che i lavoratori e le lavoratrici hanno fatto emergere. Inoltre, la maggior parte delle persone non poteva cessare di lavorare, dal momento che avevano bisogno di un ingresso economico. Secondo una testimonianza, i responsabili abbassavano le persiane in modo da evitare sguardi esterni e non rispettavano le regole di distanziamento.
Conclusioni
Analizzando questi ultimi due esempi, gli obiettivi 5 e 8 dell’Agenda 2030 sembrano ancora piuttosto lontani e utopici. L’industria tessile e dell’abbigliamento è un settore che vede per la maggior parte operaie donne. Le condizioni del luogo di lavoro, gli spazi sovraffollati, lo stipendio basso, le violenze verbali, fisiche e sessuali che sono costrette a subire sono fattori che compongono una violenza strutturale frutto del sistema sociale in cui viviamo. Il capitalismo aggressivo impone non solo ritmi e tempi che non si adattano alle esigenze locali. Riproduce un sistema di dominazione patriarcale, creando quelle che possiamo identificare come nuove schiavitù.
Possiamo fare qualcosa? Certamente. Già il fatto di renderci conto del mondo in cui viviamo e osservare le dinamiche in cui siamo inserit* è un primo passo. È a partire da questa consapevolezza che gli obiettivi non saranno più solamente dei concetti lontani e si potrà, passo dopo passo, vedere la loro realizzazione. La differenza si fa anche scegliendo di comprare da un brand etico che presti attenzione a tutti i passaggi della filiera tessile, piuttosto che da uno di fast fashion che sfrutta le condizioni precarie delle persone per produrre capi a basso prezzo. Perché tutt* abbiamo diritto a un lavoro dignitoso, a una vita degna e al rispetto.
FONTI
(1) Global Gender Gap Report, 2022 https://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2022.pdf
(2) Rapporto ASvIS 2022. L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. https://asvis.it/rapporto-asvis-2022/
(3) Dizionario Treccani https://www.treccani.it/enciclopedia/delocalizzazione_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/
(4) AWARE Think Tank https://www.awarethinktank.it/wp-content/uploads/2021/04/ANALISI_MODA_SOSTENIBILE_FINALE.pdf
(5) Parlamento Europeo. Workers’ conditions in the textile and clothing sector: just an Asian affair? Issues at stake after the Rana Plaza tragedy, 2014 https://www.europarl.europa.eu/thinktank/it/document/EPRS_BRI(2014)538222
(6) Lopez-Acevedo G., Robertson R. (2012) Sewing Success? Employment, Wages, and Poverty following the End of the Multi-Fibre Arrangement, Washington D.C., The World Bank
(7) Bangladesh Raises Minimum Wage for Garment Workers After Unrest, 2013 https://www.bloomberg.com/news/articles/2013-11-13/bangladesh-garment-factories-to-stay-shut-amid-worker-protests#xj4y7vzkg
(8) Understanding the Characteristics of the Sumangali Scheme in Tamil Nadu Textile & Garment Industry and Supply Chain Linkages (2012) https://www.solidaridadnetwork.org/wp-content/uploads/migrated-files/publications/Understanding_Sumangali_Scheme_in_Tamil_Nadu.pdf
(9) UKFT’s Compendium of Industry Statistics and Analysis, 2020 https://ukft.s3.eu-west-1.amazonaws.com/wp-content/uploads/2021/11/24095453/UKFTs-Compendium-of-Industry-Statistics-and-Analysis-2020-Executive-Summary.pdf
(10) UK garment factory workers at higher risk of dying with Covid – study, 2021 https://www.theguardian.com/business/2021/feb/18/uk-garment-factory-workers-at-higher-risk-of-dying-with-covid-study?utm_source=Vogue+Business&utm_campaign=07c0d66ca4-EMAIL_CAMPAIGN_2021_02_15_12_57&utm_medium=email&utm_term=0_5d1e7914df-07c0d66ca4-57846123
(11) LBL, UK garment industry https://labourbehindthelabel.org/uk-garment-industry/
Immagine di copertina: Dora Wheeler Keith
Autrice: Viviana Fossati
Ciao! Mi chiamo Viviana, studio Antropologia e Linguaggi dell’Immagine all’Università di Siena. Negli ultimi anni mi sono interessata sempre più alle tematiche della moda etica e sostenibile; in particolare alle implicazioni culturali e sociali che un modello di consumo sfrenato possono avere. Credo davvero che il cambiamento possa partire dai piccoli gesti e dal riconoscimento delle dinamiche in cui siamo inserit*. Se vi va di chiacchierare o di condividere vostre riflessioni potete contattarmi su Instagram (@vivianafossati).
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