Le micro imprese femminili in Italia: sfide e futuro della moda green

Le micro imprese femminili in Italia: sfide e futuro della moda green

Cosa vuol dire essere imprenditrice? Quanto è riconosciuta questa figura? Quanto, a livello di senso comune, a capo di un’azienda di successo ci immaginiamo un uomo? 

Sicuramente rispetto al passato molte cose sono cambiate: un ambito che prima era esclusivamente maschile sta diventando lentamente più inclusivo. Basti pensare alla domanda «ma come fa una donna a essere a capo di un’azienda e portare avanti la casa e la famiglia?». Tale quesito dà per scontato due aspetti: prima di tutto che una donna debba avere figli per essere pienamente realizzata. Inoltre, che l’ambito lavorativo sia inconciliabile con quello domestico (senza problematizzare che forse anche quest’ultimo richiede energie). 

Grazie ad uno stimolante confronto con alcune donne fondatrici di micro imprese femminili di moda sostenibile, cercheremo di andare più a fondo della questione, soffermandoci sulle sfide e le soddisfazioni dell’essere imprenditrice in Italia.

(Micro) imprenditorialità femminile: il caso italiano

Che cos’è l’imprenditorialità femminile? 

L’imprenditorialità femminile è definibile come il processo di iniziativa d’impresa gestito da una o più donne, che occupano posizioni di leadership dell’azienda. Ma perché parlare di imprenditorialità femminile? Lo scopo non è assolutamente quello di mettere a confronto donne e uomini riproducendo le divisioni culturali di genere. L’intento è quello di comprendere quali siano i fattori che ci portano oggi a parlare di “imprenditorialità femminile”, problematizzando l’uso della categoria.

Come ben sappiamo, i posti dirigenziali di aziende, in politica e in tutti gli altri ambiti lavorativi sono storicamente e socialmente occupati da uomini. Possiamo parlare di una divisione sessuale dei mestieri: le donne erano insegnanti, infermiere, lavoratrici domestiche; gli uomini erano medici, politici, CEOs di aziende, intellettuali e così via. 

Per esempio, negli Stati Uniti nel 2022, le aziende fondate esclusivamente da donne hanno raccolto solo il 2% del capitale totale investito in startup sostenute dal Venture Capital; per quanto riguarda l’Europa, la percentuale scende al 0,9%. Questa poca fiducia nelle aziende gestite da donne è legata ai pregiudizi che associano lo spirito imprenditoriale alla figura maschile

Katharine Graham was a pioneering newspaper publisher in a room full of men. In history, she wasn't alone | CNN

The Only Woman (1975), Immy Humes

I fattori che influenzano l’imprenditorialità femminile

Secondo l’articolo di Audaces dal titolo Imprenditoria femminile: qual è il ruolo delle donne nell’industria tessile e della moda?, sono due i fattori che influenzano direttamente l’imprenditorialità femminile: quelli strutturali e quelli culturali. 

  • I fattori strutturali sono legati al modo in cui funziona il mercato. Le donne sono più propense a guidare piccole imprese, tendenzialmente aprono le loro attività da sole e questo comporta confrontarsi con un numero maggiore di sfide. Infine, all’interno delle aziende le donne hanno il 50% di probabilità in meno di occupare ruoli di top management
  • I fattori culturali derivano dal fatto che la società stessa fatichi a concepire che una donna possa essere leader di un’azienda. Secondo l’immaginario comune occidentale, il posto da occupare per una donna non è quello di imprenditrice, ma quello di madre o casalinga. 

Le micro imprese femminili in Italia

Secondo il V Rapporto sull’imprenditoria femminile (pubblicato nel 2022), nel 2021 sono quasi un milione e 343mila le imprese femminili in Italia (il 22,1% dell’economia totale). La maggior parte opera nel settore dei servizi (66,8%), seguito da quello dell’agricoltura (15,4%) e da quello dell’industria (11,3%). 

Osservando la distribuzione del tasso di femminilizzazione, il settore tessile, dell’abbigliamento, delle pelli e delle calzature occupa il terzo posto tra gli ambiti maggiormente gestiti da donne (37,0%) [diap. 17]. Questo potrebbe essere dovuto all’associazione culturale tra il mondo femminile e l’ambito della moda e dei tessuti, tradizionalmente occupato da donne. 

The Women Weavers of the Bauhaus Have Inspired Generations of Textile Artists | Artsy

Else Regensteiner, 1961. Courtesy of the Art Institute of Chicago.

Preziose testimonianze 

Nel corso delle scorse settimane, ho avuto l’opportunità di dialogare con diverse imprenditrici che hanno scelto di aprire la propria attività, seguendo i principi di una moda etica e sostenibile. In particolare ho parlato con Mariachiara, che nel 2021 ha aperto Eliot, ricercando semplicità e comfort. Poi c’è Sara, che fonda Artesania Kimi unendo creatività, colori e cura del dettaglio. Flavia, che nel 2015 ha creato Malìa, un brand all’insegna della versatilità, della tradizione e della sostenibilità. Infine Gioia e Mariangela, che nel 2019 hanno concretizzato il loro sogno dando vita ai capi sartoriali e minimal di Undici.florence

Cinque donne con storie diverse, ma accomunate da  determinazione,  passione e amore per il proprio lavoro. 

Le micro imprese femminili in Italia

Artesania Kimi

Nascita della micro impresa femminile

Ognuna di loro è stata spinta ad aprire l’impresa da una motivazione diversa. Flavia, dopo un corso di modellismo, ha cominciato a lavorare per terzisti di abbigliamento per grandi marchi. Vedendo dall’interno come avviene la produzione degli abiti, ha deciso di separarsi da quel mondo per cercare qualità nei tessuti e sostenibilità nella produzione. Così è ritornata con suo marito in Calabria, sua terra d’origine, e nonostante in quegli anni non si parlasse ancora molto di sostenibilità nell’abbigliamento, ha deciso di tentare. Partendo con una prima collezione, l’impresa è cresciuta sempre più.

Mariachiara dice che fin da bambina si divertiva a disegnare abiti. Si è laureata a Bologna in economia, e dopo il lavoro di diversi anni in un’azienda di moda e viaggiando molto, la seconda gravidanza è stata la spinta di cui aveva bisogno per lasciare il lavoro da dipendente e ridurre lo stress della gestione di lavoro e figlie. 

Sara invece ha fatto la restauratrice. Come Mariachiara, durante la gravidanza non poteva lavorare nel suo ambito; così ha tirato fuori la macchina da cucire e ha iniziato a sperimentare. Notando che c’era una fetta di mercato che rimaneva scoperta, ha cominciato a ideare abiti comodi partendo da tessuti di fine serie.  

Anche Gioia ha lavorato per tre anni nel restauro e nel campo museale. È proprio grazie a un corso di sartoria che incontra Mariangela, laureata in fashion design presso lo IED. Da questa conoscenza è nata la loro avventura nel 2019, aprendo un piccolo laboratorio a Firenze.  

Malìa

Collaboratori e collaboratrici delle micro imprese femminili in Italia

Le imprenditrici intervistate lavorano principalmente da sole. Due di loro vengono aiutate dal marito/compagno oppure da persone fidate per la parte social o di marketing. Ci sono a volte fornitori esterni, per esempio per quanto riguarda la realizzazione delle foto. Stiamo quindi parlando di micro imprese. Questa testimonianza supporta quanto riportato nel V Rapporto Nazionale Imprenditoria Femminile: nel 2021, in Italia, le donne che gestiscono imprese di micro dimensioni (da 0 a 9 addetti) sono il 96,7%, contro il 94,6% di quelle non femminili. 

Malìa

Perché le donne sono a capo di micro impres

Alla domanda «Perché le donne sono maggiormente a capo di micro imprese?», le intervistate hanno risposto in modo piuttosto concorde. Il principale fattore problematico è quello del tempo. «La donna oltre che a fare impresa si occupa anche di molte altre cose. Perché magari diventa madre oppure è caregiver di genitori anziani. Questa caratteristica di accudire ce la portiamo dietro sempre, dobbiamo essere attente, controllare i figli. Questo toglie tempo ed energia» (Sara). 

A tal proposito, Flavia aggiunge: «Purtroppo, la donna è penalizzata. È penalizzata perché per fare la mamma ha bisogno di più tempo. […] mentre un papà riesce a essere visto dall’azienda come colui che può gestire meglio lavoro e famiglia, le mamme no. […] Serve un cambio di rotta e di mentalità. Nel capire che sì, possiamo essere tranquillamente ai vertici di un’impresa. Basta gestire diversamente il tempo». «Siamo ancora in una società molto concentrata sul ruolo della mamma: la mamma deve accudire principalmente le figlie. Se non lo fai vieni vista un po’ come quella strana» (Mariachiara). 

Gioia e Mariangela aggiungono un altro fattore: «Forse le donne in posizioni direttive cercano di esercitare il potere in misura diversa dagli uomini, si focalizzano su un ambiente di lavoro basato sulla creazione di valori, come la soddisfazione dei clienti e dei lavoratori dando priorità al reciproco apprezzamento e ad un‘atmosfera lavorativa confortevole e non opprimente». Sottolineano infine che questi valori sono più facilmente gestibili in piccole imprese. 

Le micro imprese femminili in Italia

Malìa

Cosa vuol dire imprenditorialità femminile

Le intervistate hanno anche proposto una definizione di imprenditorialità femminile e hanno dato opinioni differenti. Mariachiara dice che «vuol dire partire ancora da un passo più indietro rispetto a un imprenditore uomo, purtroppo è così. Perché, quando ti approcci a un mondo che è ancora prettamente maschile, ti vedono sempre un po’ in modo diverso. Quindi c’è un muro in più da sfondare». Mariangela e Gioia aggiungono che «le imprenditrici sono quelle donne che hanno il coraggio e le capacità di concretizzare un’idea nonostante quelle barriere esterne che ostacolano l’avvio di un’impresa femminile». Questa barriera è legata principalmente alla visione che una donna debba essere colei che porta avanti la famiglia, occupandosi dei figli e delle figlie. Tuttavia, Mariachiara non nega però che iniziano ad esserci aiuti anche a sostegno delle imprenditrici.

Sara afferma «non c’è differenza tra la capacità maschile e femminile di fare impresa, ma sono il contesto sociale e la difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia a creare queste differenze»

Flavia riconosce il ruolo del marito nell’apertura della sua attività e aggiunge che essere imprenditrice è da una parte un grande orgoglio, ma dall’altra è penalizzante. I motivi sono da ricondurre alle poche tutele proposte dallo stato italiano sia per le imprenditrici, ma soprattutto per le artigiane.

Undici.florence

 

La credibilità: un tasto dolente

Anche per questo aspetto, le intervistate hanno riportato le loro esperienze, anche piuttosto diverse. 

Tutte hanno sottolineato l’importanza dell’essere donna, dal momento che le clienti sono principalmente donne. Si tratta quindi di «metterci la faccia»

Mariachiara però aggiunge: «Quando ti affacci a fornitori, banca, prestiti, se si presenta il mio compagno, è considerato più credibile, lo ascoltano di più. Sul lato marketing, se fai vedere il volto di una donna, è tutto diverso perché entra in sintonia con le altre donne». 

Anche Flavia racconta di un paio di episodi in cui il marito era visto come quello più credibile. Il primo è durante le fiere. «Io sono vista come la stilista o la creativa. Mentre quello serio è mio marito». Così capita che gli imprenditori vadano a parlare con lui, e non con lei. 

Un altro episodio è avvenuto in occasione di un programma di una nota emittente televisiva. La conduttrice tendeva a fare domande sia a Flavia sia al marito, dando più rilievo alla testimonianza della donna. Il direttore però «voleva vedere un po’ di più anche la partecipazione maschile, come se stesse invadendo troppo la parte femminile». Inoltre, nella descrizione della puntata hanno messo per il marito «imprenditore», mentre per lei «modellista». Flavia sottolinea che lei stessa, nel momento in cui le hanno chiesto la professione, ha risposto in questo modo, giocando sul fatto che molti non conoscano la differenza tra modellista e stilista. Però, pensava che volessero conoscere semplicemente la sua professione. 

È interessante la considerazione di Gioia e Mariangela: a volte risulta complicato «spodestare quell’idea di impresa femminile di moda sostenibile e sartoriale associata alla figura della “sartina” vicina alla dimensione domestica e artistica della lentezza, quindi lontana dall’ingegno, dal design e dalle tecnologie». 

This image of filmmaker Shirley Clarke in 1962 in New York City catalyzed Immy Humes' book "The Only Woman." - Le micro imprese femminili in Italia

The Only Woman (1975), Immy Humes

Perché moda etica e sostenibile? 

Quasi tutte hanno evidenziato aspetti decisivi della loro infanzia che le hanno avvicinate alla moda o all’ambito della sostenibilità. Il vedere la madre indossare «l’abito buono della domenica» (Flavia), fatto con tessuto di qualità; il perdersi nella fabbrica di bikini dei genitori (Sara); l’essere cresciuta in un contesto di rispetto nei confronti della natura, dove tutto può avere una seconda vita. «Riciclo anche delle cose più semplici. Il pane vecchio non si butta ma lo si può usare in cucina. Un vestito non si butta ma si ricuce» (Mariachiara). 

Flavia, invece, crede molto nella qualità della materia prima, in particolare ha ripercorso i sentieri della storia tessile della Calabria. Il suo sogno è quello di ricreare un’intera filiera, partendo dalle conoscenze artigiane della sua terra. 

Gioia e Mariangela credono molto nella sartorialità, nel lavoro fatto a mano e nella confezione di abiti su misura. A questo è collegato un altro fattore aggiuntivo: lo scarto minimo. Sara dice: «Essendo una ditta piccola e lavorando nel modo in cui lavoro, con tessuti di fine serie, facendo i capi in modo artigianale e a volte su misura, senza spreco (perché nel taglio, tagliando io, ho pochissimo spreco di tessuto e le rimanenze le dò ad altri artigiani che ci fanno cose piccoline come accessori). C’è pochissimo scarto ed è proprio da questo che deriva la sostenibilità, dal lavorare nel dettaglio sulle cose e con attenzione».

Malìa

 

Consigli per future imprenditrici  

I consigli per coloro che vogliono affrontare il mondo delle micro imprese femminili in Italia sono numerosi e allo stesso tempo preziosi. Sara afferma che «è fondamentale capire come proporre qualcosa che manca, creando un valore aggiuntivo». 

Altri ingredienti fondamentali sono: il coraggio, essere curiose, la determinazione e la costanza. È importante avere un team, perché «lo scambio di idee è ciò che ti fa crescere» (Flavia). A questo si collega l’importanza di fare rete, essendo aperte alla collaborazione con altri brand e progetti. «Perché non fare squadra, visto che stiamo cercando tutti di creare un’offerta che sia alternativa al fast fashion?» (Flavia).

Kimono Tee

Eliot

Tiriamo le somme

Possiamo sicuramente affermare che essere imprenditrici donne in Italia non sia semplice. Secondo la tradizione culturale, essere donna vuol dire anche essere madre, o comunque sottintende la responsabilità nel gestire la famiglia. Oltre al lavoro, «ci sono anche le mie figlie e richiedono un lavoro a tempo pieno» (Mariachiara). L’essere donna può anche essere visto come uno stimolo aggiuntivo all’apertura di una micro impresa e al conseguimento di un sogno. «[Ho aperto la mia attività] perché sono donna, ho avuto una bambina e volevo seguirla. […] Quindi ho rivoluzionato tutto in funzione del mio essere mamma» (Sara). Flavia aggiunge: «Io sono stata la cliente di me stessa, [e mi sono chiesta] perché stessi cercando questo prodotto». Impresa femminile vuol dire anche «grande orgoglio, perché comunque siamo finite anche su TV nazionali, tanti hanno scritto di noi» (Flavia). 

Le imprenditrici in Italia stanno crescendo sempre di più: Mariachiara, Sara, Flavia, Mariangela e Gioia ne sono un esempio. Con i loro brand, portano anche avanti un tipo di moda sostenibile. Cura dei dettagli, attenzione alla cliente, riduzione dello spreco tessile e ricerca della qualità sono ingredienti fondamentali per le loro imprese. Ovviamente non è stato semplice, per questo Mariachiara ci dice che serve «tanta, tantissima determinazione perché ci sono dei momenti in cui vorresti mollare e in cui dici “non ce la faccio, dove devo andare? Dov’è la strada?”. Ci sono dei momenti bui. Ma se ti piace questo lavoro e lo stai facendo con passione e ci credi, la strada la trovi, a un certo punto si apre».

Autrice: Viviana Fossati Foto sorridente dell'autrice Viviana - Disuguaglianze di genere e nuove schiavitù tra le lavoratirici tessili

Ciao! Mi chiamo Viviana, studio Antropologia e Linguaggi dell’Immagine all’Università di Siena. Negli ultimi anni mi sono interessata sempre più alle tematiche della moda etica e sostenibile; in particolare alle implicazioni culturali e sociali che un modello di consumo sfrenato possono avere. Credo davvero che il cambiamento possa partire dai piccoli gesti e dal riconoscimento delle dinamiche in cui siamo inserit*.  Se vi va di chiacchierare o di condividere vostre riflessioni potete contattarmi su Instagram (@vivianafossati).

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